Sfruttamento e nuove schiavitù, serve un nuovo Statuto dei lavoratori
L’inaccettabile morte di Satnam Singh, abbandonato senza alcun soccorso dopo un gravissimo infortunio al braccio, impone a tutti noi una riflessione profonda sul valore che noi vogliamo riconoscere, nella nostra società, alle persone e al lavoro. Questo non solo per gli atteggiamenti disumani e criminali che sono costati la vita al lavoratore indiano, ma anche per il contesto di sfruttamento in cui si è consumata la tragedia di Latina.
Abbiamo il dovere infatti di riflettere sulle profonde trasformazioni intervenute nel mondo del lavoro e sulle nuove modalità di lavoro nell’economia globalizzata: il lavoro astratto e standardizzato, quello frantumato e flessibile della new economy, il lavoro sommerso dei migranti e quello negato ai disoccupati ci impongono un’analisi profonda delle dinamiche in atto, perché vicende simili a quella di Latina si sono verificate tante altre volte in altre parti d’Italia, Trieste compresa. Come non ricordare infatti il caso dell’operaio edile pakistano, anche lui scaricato come un pacco a poca distanza dal cantiere dove si era infortunato lavorando in nero, qui nella nostra città.
Nonostante il periodico ripetersi di casi come questi, non c’è mai una discussione sulla dimensione e sul valore che vogliamo dare al lavoro in questo paese e su quali siano le misure che la politica dovrebbe mettere in campo per tutelare, oltre alla dignità e alla sicurezza dei lavoratori, anche le imprese virtuose. Per riuscirci servirebbe innanzitutto un atteggiamento inflessibile con tutte quelle aziende che si macchiano di casi gravi di sfruttamento lavorativo, spesso con infiltrazioni di reti criminali che approfittano dei deficit delle reti istituzionali per dare vita ad un’economia predatoria e parassitaria, che prospera nell’assenza di controlli.
Intensificare le maglie dei controlli è necessario, ma non sufficiente. Come Cgil continuiamo a pensare anche che oggi più che mai sia necessaria la rivisitazione dello Statuto dei Lavoratori, che risale al 1970, per arrivare a una Carta dei Diritti Universali del lavoro che agganci i diritti non più al tipo di contratto, ma al lavoratore, sia esso dipendente o partita Iva, precario o somministrato, operaio o rider. È quanto prevede una proposta di legge di iniziativa popolare formulata dalla Cgil nel 2016, presentata con più di 4 milioni di firme certificate ma ancora ferma in Parlamento.
Anche alla luce di quanto accaduto a Latina, dei morti nel cantiere Esselunga di Firenze, a Brandizzo lungo i binari della ferrovia o nella centrale idroelettrica di Suviana, ci chiediamo perché non ci si voglia confrontare sull’esigenza di riscrivere lo Statuto dei lavoratori. Se la sua approvazione, nel 1970, rappresentò una svolta epocale dal punto di vista sia politico che giuridico nel sancire alcuni diritti fondamentali del lavoro dell’attività sindacale, crediamo che una sfida analoga si ponga oggi, per affrontare le trasformazioni in atto nel tessuto economico e occupazionale e rilanciare, in un contesto così profondamente mutato, il valore del lavoro come caposaldo della democrazia e della nostra Costituzione repubblicana.
Il segretario generale CGIL Trieste, Massimo Marega