Unicredit, dipendenti in piazza a Trieste. Cento i posti a rischio
«Siamo preoccupati per le nostre famiglie e per i nostri figli, siamo soprattutto arrabbiati perché questa banca, pur non avendo ha mai dichiarato di essere in crisi, sta mettendo a repentaglio migliaia di posti di lavoro, con l’intento di rendere più interessante il dividendo da erogare ai propri azionisti». È quello che scrivono i bancari di Ubis in un lettera aperta inviata al sindaco di Trieste e ai presidenti di Regione, Provincia, Camera di Commercio e Fondazione CrTrieste.
La lettera è stata inviata oggi, in concomitanza con lo sciopero e con la manifestazione indetta dalle Rsa e dalle segreterie di Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil e Ugl Credito. Una mobilitazione, la loro, volta a contrastare l’annunciata cessione a società estere di Ubis e di altri rami d’azienda. I posti di lavoro toccati dalle
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esternalizzazioni sono 800 in Italia e oltre 100 a Trieste tra Ubis e le altre società coinvolte.
La nuova proprietà estera ““ si legge in un volantino sindacale ““ difficilmente avrà interesse a mantenere le attività a Trieste, città nota per la cronica assenza di infrastrutture. Quelle che oggi sono esternalizzazioni, quindi, potrebbero trasformarsi in delocalizzazioni e licenziamenti. L’ennesimo esempio di tagli sulla pelle dei lavoratori e delle loro famiglie. Tagli che oltretutto non porteranno effettivi risparmi nei bilanci del gruppo: altre, infatti, sono le voci di spesa che possono essere tagliate: per questo continueremo la nostra protesta, coinvolgendo anche gli altri lavoratori del gruppo, decisi a far cambiare idea a Unicredit».
Un analogo impegno viene chiesto alle istituzioni regionali e locali: «È una preoccupante novità ““ scrivono ancora i sindacati ““ il fatto che scelte come queste vengano fatte da quegli istituti di credito che si erano impegnati con le Fondazioni azioniste e con le istituzioni cittadine al mantenimento dell’occupazione. Chiediamo pertanto alle istituzioni un deciso interessamento per scongiurare che tante famiglie si trovino in difficoltà e che la ricchezza attualmente prodotta dal terziario triestino venga dirottata verso altri Paesi».