Primo Maggio: in seimila in piazza a Trieste

Politiche attive del lavoro per rilanciare
l’occupazione a fronte dei 23 mila posti di lavoro persi rispetto ai
valori pre-crisi. Solidarietà  e accoglienza per gestire l’emergenza
profughi. Il tema del lavoro, da sempre al centro delle manifestazioni
del Primo Maggio in Regione, che hanno portato in piazza oltre 10 mila
persone, si sono fusi con la grande sfida dell’accoglienza e delle
politiche per l’immigrazione, in piena sintonia con la scelta dei
segretari generali di Cgil, Cisl e Uil di celebrare la Festa del lavoro
nel centro di accoglienza di Pozzallo, in Sicilia.
In occasione del Primo Maggio, è arrivato anche il messaggio del segretario generale Cgil Fvg Franco Belci: “I dati Istat ci dicono che la disoccupazione, a dispetto
degli annunci, torna a scendere ai minimi storici. Ecco perché è
necessario uscire dalla propaganda e cercare soluzioni concrete, capaci
davvero di far ripartire l’occupazione e l’economia. Nella
consapevolezza che dalla crisi non si esce con la scorciatoia del taglio
dei diritti: un concetto che il sindacato ribadisce con forza anche a
nome dei tanti, troppi lavoratori della distribuzione costretti a
lavorare, immolati sull’altare del consumismo, della deregulation degli
orari e della pianificazione. Dalle piazze del Fvg, come nel resto del Paese, il mondo del lavoro
lancia un appello forte alla solidarietà  nei confronti dei profughi,
un’emergenza umanitaria che non può e non deve lasciare indifferente la
nostra comunità  regionale”.

 In regione, la manifestazione di Trieste (che ha vissuto anche quelle di Muggia e Duino Aurisina) è stata la più numerosa con almeno 6 mila manifestanti.  Alla fine dal palco di piazza Unità  è stato  il segretario confederale nazionale della Uil Paolo Carcassi: «Occorre un’iniziativa molto più forte sui temi
realmente importanti per l’economia e il lavoro. Primo fra tutti l’occupazione.
Quello che sta facendo il Governo non è sufficiente. Non c’è una sterzata. Si
conta sulla congiuntura internazionale (dollaro e prezzo del petrolio più
bassi, immissione di denaro) e ci si illude sia sufficiente per far ripartire
l’economia del Paese. Bisogna cambiare politica economica.
Bisogna dare più reddito ai cittadini, con l’estensione degli 80 euro a
pensionati e incapienti, e andare alla stipula dei contratti per far ripartire
i consumi, che rappresentano i 2/3 della produzione nazionale. Bisogna dare
corso a politiche industriali altrimenti il secondo Paese manifatturiero
d’Europa rischia di essere strozzato». Dal palco si è ribadita ancora una volta
la contrarietà  del sindacato al Jobs Act, perché «non è attraverso una legge
che si crea occupazione. Tanto più con una legge che diminuisce le tutele, non
riduce le forme di lavoro precario e introduce elementi pericolosi perché mette
in discussione gli ammortizzatori sociali, rischiando così solo di aggravare
una situazione di crisi».