La Cgil: “La Graphart può essere salvata”

Il caso Graphart torna nelle mani del curatore di ieri e di oggi, il
dottor Piergiorgio Renier. A lui ora il non facile compito –
auspicato dai lavoratori e dal sindacato che li ha seguiti in questa
fase – di trovare, se possibile, qualche altro imprenditore
disposto a riaprire. Ma perché altri dovrebbero farsi avanti se chi
avanti si è già  fatto ha poi mollato? Elio Gurtner, dalla Cgil,
espone le sue ragioni, non escludendo che possano venire a galla, a
breve, nuove manifestazioni d’interesse. «A chiusura di questa
vicenda che per noi si è rivelata un fulmine a ciel sereno – osserva
Gurtner – resta una profonda amarezza. Non credo che, quantomeno
stavolta, tutte le responsabilità  dell’accaduto possano 

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essere addossate
alla crisi. Stiamo parlando di un lavoro ad alta specializzazione
nel quale i lavoratori ce l’ha messa tutta, mantenendo gli elevati
standard professionali di sempre. Eventuali mancanze, allora, vanno
ricercate probabilmente in ambito imprenditoriale. L’impressione è
che nell’azienda si sia affermata la progressiva assenza di una adeguata
politica commerciale». Già , perché – sostiene il rappresentante
della Cgil – la Graphart resta, proprio per il lavoro ad alta
specializzazione che incarna, un boccone appetibile sul mercato,
anche internazionale: «Lo stabilimento dispone di tre macchinari di
livello, uno dei quali, in particolare, dicono essere un pezzo
all’avanguardia, unico a livello di Sud Europa. Smontarlo per
portarlo altrove già  costerebbe una follia. Anche per questo credo sia
un delitto, per la professionalità  delle maestranze per l’appunto
oltre che per la qualità  dei macchinari, il fatto che quest’azienda non
riesca a trovare chi la può far ripartire, riconoscendone così la
forza sul mercato».