La Cgil: «In Asugi vietato esprimersi»
«Rilanciamo la presa di posizione di un gruppo di operatori sanitari di Asugi, condividendo e facendo nostri, come Cgil, i contenuti del documento che per l’ennesima volta denuncia la deriva che vive il Servizio sanitario pubblico a fronte dei mancati investimenti e scelte coerenti di rafforzamento della struttura, a partire dal personale dipendente. Inoltre evidenziamo che è impedita l’espressione pubblica del pensiero del personale dipendente di Asugi da disposizioni amministrative aziendali che delineano provvedimenti disciplinari in caso di violazione: una situazione che oscilla tra le difese di immagine dell’Azienda pubblica e il diritto costituzionale alla parola». Così, in una nota, il segretario della Cgil di Trieste Michele Piga, Mafalda Ferletti, segretaria della Cgil Funzione pubblica Trieste, e Adriano Sincovich dello Spi Cgil Trieste, che spiegano che, «nonostante tali gabbie, le evidenti criticità di funzionamento della struttura di Asugi emergono di continuo, come è stato platealmente evidenziato dalla presa di posizione di oltre 200 operatori del Pronto soccorso di Cattinara. È evidente che in assenza di tali disposizioni che limitano il diritto di espressione, le dinamiche della conflittualità sociale assumerebbe altra dimensione. La Cgil è impegnata nella difesa della sanità pubblica e sosterrà ogni manifestazione del personale in tal senso».
La lettera degli operatori sanitari condivisa dalla Cgil afferma che «c’è forte preoccupazione» per «i sempre più cospicui finanziamenti alla sanità privata, che è in piena espansione. Nel 2021 il 54% dei cittadini ha dovuto rivolgersi al privato per una spesa complessiva di 37 miliardi di euro». Tra le cause, secondo gli operatori sanitari, le «lunghe liste d’attesa, che costringono i cittadini a rivolgersi al privato nella speranza di ottenere, acquistandole di tasca propria, risposte di cura adeguata sia in termini di qualità che di tempi di attesa. Fino a quanto potranno permetterselo? Dall’altra parte, ci sono i professionisti, costretti a lavorare in un Servizio sanitario pubblico sempre più svilente e impoverito».