L’Università esce dal tunnel e può ripartire
(da Il Piccolo del 14-4-2010)
di MADDALENA REBECCA
La notizia più attesa dalla comunità accademica cittadina è arrivata con dodici mesi di anticipo rispetto alle previsioni più ottimistiche. Nel 2009 l’Università di Trieste è riuscita a scendere sotto la fatidica soglia del 90% nel rapporto tra la spesa per gli stipendi del personale e l’entità del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) erogato dallo Stato. Un traguardo che non veniva centrato dal 2005 e non si prevedeva di raggiungere prima della fine del 210, e che consente ora all’ateneo di rientrare nell’olimpo, numericamente sempre più risicato, delle realtà classificate dal ministero come virtuose. E non si pensi ad un semplice riconoscimento formale. L’inversione di tendenza, non a caso definita dal rettore Francesco Peroni “un risultato straordinario nello scenario nazionale”, rappresenta infatti una sorta rivoluzione, con ricadute di fondamentale importanza sul funzionamento della macchina amministrativa.
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Esser scesi sotto il tetto del 90% – seppur di poco, visto che la proporzione si è fermata a quota 89,82% – significa infatti sfuggire alle pesantissime sanzioni imposte alle università poco oculate: prima tra tutte il blocco totale delle assunzioni, sia tra i docenti sia tra i dipendenti tecnici e amministrativi, disposto dalla legge 1 del 2009, meglio nota come legge Gelmini. Questo vuol dire che, dopo un anno di completa paralisi, l’Università di Trieste potrà finalmente tornare a reclutare personale, ridando così speranza a quelle decine di ricercatori, contrattisti e impiegati fino a ieri rassegnati all’idea di vivere in una condizione di precarietà irreversibile.
Il merito del nuovo trend virtuoso va attribuito alla politica di razionalizzazione e contenimento dei costi portata avanti dall’ateneo negli ultimi mesi. Una politica perseguita nell’unico modo praticabile. Di fronte all’impossibilità di ritoccare all’ingiù gli stipendi dei dipendenti, regolati da contratti nazionali e soggetti ad automatismi e scatti del tutto immodificabili, l’amministrazione non ha potuto far altro che seguire la strada della diminuzione del personale. Da un lato accelerando le fuoriuscite volontarie e azionando tutte le leve prepensionistiche esistenti, dall’altro opponendosi fermamente (anche nelle aule di tribunale come riferiamo nell’articolo in basso ndr) ad ogni possibile prolungamento della permanenza in ruolo. Scelte per usare le parole del rettore “contrastate e dolorose”. Scelte impopolari che hanno fatto perdere ai vertici dell’ateneo le simpatie di una percentuale consistente dei docenti più anziani ma che, alla luce del riconoscimento arrivato ora dal ministero, si sono rivelate essenziali al superamento della paralisi delle assunzioni.
La rimozione del blocco del turn over, tuttavia, non si tradurrà ora in una distribuzione a piene mani di contratti a tempo indeterminato. Perché le norme statali, in tempi di vacche magre come questi, pongono dei paletti rigorosi anche agli atenei virtuosi. La legge Gelmini stabilisce che chi, nel 2009 non ha sforato il tetto del 90% nel rapporto spesa stipendiale – Ffo, nel 2010 potrà procedere ad assunzioni di personale “nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50% di quella relativa al personale a tempo indeterminato complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente”. E le limitazioni non finiscono qui. Sempre la norma che porta il nome del ministro dell’Università impone infatti che la quota disponibile venga utilizzata, in misura non inferiore al 60%, per l’assunzione a tempo indeterminato di ricercatori e contrattisti e, in percentuale non superiore al 10%, all’assunzione di professori ordinari. I vertici dell’ateneo, dunque, non avranno le mani libere. Ma, eventualità impensabile fino a pochi mesi fa, potranno comunque riprendere il discorso reclutamento interrotto bruscamente, e forzatamente, nel recente passato.
Difficile, al momento, dare numeri precisi. Per capire quanti e quali precari avranno possibilità di essere stabilizzati, bisognerà attendere la quantificazione degli stipendi “liberati” dal personale uscito di scena nel 2009 e il successivo calcolo della quota a disposizione per le nuove assunzioni. Cifre alla mano, scatteranno le decisioni che però, ha garantito il rettore, non potranno non tenere conto della situazione dei lavoratori tecnico-amministrativi inseriti nella categoria degli “strutturandi”: figure qualificate ritenute indispensabili al funzionamento della macchina amministrativa e per questo già inserite nei piani triennali di reclutamento . Figure che, dopo l’entrata in vigore della legge Gelmini, si erano viste inevitabilmente messe all’angolo e ora sono di nuovo autorizzate a sperare.
Fin qui, dunque, la soddisfazione per aver centrato un risultato fondamentale. Eppure qualcosa è comunque riuscito a guastare la giornata dell’orgoglio dell’Università di Trieste: la consapevolezza che, se non arriveranno gli auspicati cambi di rotta, alla fine di quest’anno l’ateneo tornerà nuovamente sforare la soglia del 90%. Un’involuzione inevitabile alla luce della decisione del ministero di ridurre il Fondo di finanziamento ordinario: 4,5% in meno per quest’anno e oltre il 10% nel 2011. Tagli, è il grido d’allarme lanciato più volte dalla comunità accademica, che rischiano di portare ad un “massacro indiscriminato”. Uno scenario in cui le Università si troveranno in un vicolo cieco: con le risorse statali pesantemente decurtate da un lato, e gli stipendi dei dipendenti destinati ad aumentare per effetto degli scatti automatici, rispettare i parametri di spesa sarà assolutamente impossibile. Di qui l’appello alla politica nazionale: “È il momento di premiare il merito – ha ribadito Francesco Peroni -, distinguere tra atenei dissestati e atenei virtuosi e supportare finanziariamente questi ultimi. Altrimenti precipiteremo tutti indistintamente in un baratro irreversibile».